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Il piano Industria 4.0 promosso dal Ministero dello Sviluppo Economico è indubbiamente ricco di iniziative volte a rafforzare la competitività delle imprese italiane, soprattutto di piccole e medie dimensioni, tramite la spinta all’innovazione, alla digitalizzazione e all’internazionalizzazione.

Tra le misure proposte credo meriti evidenziare quelle dirette ad agevolare in particolare lo sviluppo dei brevetti. Tra queste: il “credito di imposta ricerca e sviluppo” e il “patent box”.

Il credito di imposta per l’attività di ricerca e sviluppo consiste in un credito fiscale pari al 50% delle spese incrementali in ricerca e sviluppo sostenute da un’impresa nell’anno di riferimento rispetto alla media delle stesse spese sostenute nel triennio 2012-2013-2014. L’intento della norma è stimolare e accelerare la spesa privata in ricerca e sviluppo per innovare processi e prodotti.

Le spese agevolabili (finalizzate alla ricerca fondamentale, industriale e sperimentale) sono distinte in 4 categorie: (i) costo del personale addetto alla ricerca, (ii) contratti di ricerca con università, enti di ricerca, imprese startup e PMI innovative, (iii) quote di ammortamento di strumenti e attrezzature di laboratorio e (iv) competenze tecniche e privative industriali.

Tipicamente le pratiche di R&S vedono i soggetti concentrarsi nella mappatura e quantificazione del costo del personale impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo. Si tralascia spesso il fatto che la norma rappresenta una importante occasione per lo sviluppo di privative industriale, e in particolare di nuovi brevetti.

Ai sensi della lettera d) dell’art. 3, comma 6 del DL 145/2013 infatti sono eleggibili al credito di imposta tutti i costi sostenuti per l’acquisizione di “privative industriali relative ad un’invenzione industriale o biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o una nuova varietà vegetale, anche acquisite da fonti esterne”. A titolo esemplificativo (come chiarito dalla circolare AE 5/E del 16.03.2016) rientrano in tale tipologia i costi sostenuti per consulenze propedeutiche, due diligence, studi di fattibilità, predisposizione di accordi di riservatezza, predisposizione accordi di cessione o concessione in licenza del brevetto, costi di trascrizione o annotazione nei registri di pubblicità legale, estensione della domanda di brevetto o registrazione, costi di traduzione, mantenimento in vita ecc. Costi che dovranno essere puntualmente documentati e certificati.

Inoltre, le spese per privative industriali rilevano sia nel caso di produzione interna sia nel caso di acquisto da fonti esterni, anche appartenenti al medesimo gruppo societario, e varranno altresì tutti i costi che l’impresa beneficiaria sosterrà per lo sviluppo, il mantenimento e l’accrescimento di detti beni immateriali. E’ una estensione di non poco conto perché di fatto agevola anche l’acquisizione di brevetti sul mercato, con un abbattimento immediato potenziale del 50%.

L’Agenzia delle Entrate con la circolare 13/E del 27.04.2017 ha avuto poi modo di precisare che il concetto di privativa industriale comprende anche il brevetto per modello di utilità (ai sensi dell’art. 82 del codice di protezione della proprietà intellettuale) e il software coperto da brevetto per invenzione (rientrano invece tra le “competenze tecniche” i software coperti da copyright). Sono invece esclusi dalla norma i “disegni e modelli” e i “marchi”, perché entrambi privi del necessario requisito di invenzione industriale.

Altra norma agevolativa che oggi premia in misura importante i brevetti è il patent box. La misura, operante in Italia dal 2015, intende valorizzare i beni immateriali delle aziende e premiare il loro impiego profittevole. L’obiettivo, in termini più generali, è quello rendere il mercato italiano maggiormente attrattivo per gli investimenti nazionali ed esteri di lungo termine, prevedendo una tassazione agevolata sui redditi derivanti dall’utilizzo della proprietà intellettuale. Questo anche al fine di incentivare la collocazione in Italia dei beni immateriali attualmente detenuti all’estero da imprese italiane o estere e al contempo incentivare il mantenimento dei beni immateriali in Italia, evitandone la ricollocazione all’estero.

La norma si affianca perfettamente al credito di imposta R&S (le due agevolazioni sono cumulabili): se quest’ultima agevola il sostenimento dei costi in attività di R&S, il patent box agevola il risultato finale di tale attività. Si sposta quindi il focus dai costi al risultato finale prodotto.

L’agevolazione consiste nella riduzione delle aliquote IRES e IRAP del 50% dal 2017 in poi, sui redditi d’impresa connessi all’uso diretto o indiretto (ovvero in licenza d’uso) di beni immateriali, purchè sviluppati internamente all’azienda.

Inizialmente la norma prevedeva 5 categorie di intangibles agevolabili:

  • marchi registrati o in corso di registrazione;
  • brevetti industriali (inclusi brevetti per invenzioni anche biotecnologiche, per modello di utilità, per varietà vegetali, topografie e di prodotti a semiconduttori);
  • disegni e modelli industriali (giuridicamente tutelabili);
  • know how (informazioni giuridicamente tutelabili, comprese quelle commerciali scientifiche proteggibili come informazioni segrete);
  • software (protetto da copyright).

La norma ha avuto inizialmente un considerevole successo con riferimento ai marchi commerciali (molto diffusi in Italia). Successivamente l’art. 56 del DL 24.04.17 n. 50 ha escluso i marchi dall’agevolazione, allineando la normativa italiana alle istruzioni OCSE. L’esclusione si applica alle opzioni esercitate dal 01.01.2017 (nonostante l’OCSE indicasse necessario adeguarsi già dal 30.06.2016). Rimane ad oggi agevolabile il know how che in realtà, al pari dei marchi commerciali, non risulterebbe ammesso a livello OCSE.

Dal 2017 quindi il patent box diventa uno strumento destinato a premiare in particolare modo i brevetti (oltre che il software con copyright).

La norma chiede in questi casi

  • che la società dimostri di aver sostenuto direttamente i costi per lo sviluppo del brevetto;
  • che i costi abbiano portato ad ottenere un brevetto giuridicamente tutelabile;
  • che il brevetto abbia contribuito alla realizzazione del reddito aziendale.

Quest’ultimo aspetto è il più critico e tecnico, tanto che in caso di utilizzo diretto del brevetto è necessario un contraddittorio (ruling) con l’Agenzia delle Entrate per la definizione del contributo economico dell’IP alla formazione del reddito. Una volta stimato il contributo economico dell’IP, si stimerà la quota di reddito da detassare per l’anno in questione e i quattro successivi.

Da ultimo si segnala che la titolarità di un brevetto (anche di uno solo) è condizione sufficiente per qualificare una società di piccole dimensioni come Start up Innovativa o PMI innovativa. Nel primo caso (start up) dovrà trattarsi di una società di capitali non quotata di nuova o recente costituzione (max 60 mesi), con valore della produzione annua inferiore a 5 milioni di euro e il cui oggetto sociale è chiaramente legato all’innovazione.

La qualifica di start up innovativa o pmi innovativa apre l’accesso ad una serie numerosa di specifiche agevolazioni sia di natura fiscale, che societaria, che occupazionali, che finanziarie.

 


Post scritto da:
dott. Alessandro Pegoraro
Dottore commercialista e revisore legale.

 

 


 

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