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Con l’approssimarsi del termine per la presentazione della dichiarazione annuale IVA, si ripropone il tema del recupero dell’imposta non incassata, risultante dalle fatture emesse nei confronti della clientela.

In particolare, esiste un articolato dibattito sulle modalità di recupero del tributo nel caso in cui il cliente sia assoggettato a procedura concorsuale.

A tale riguardo, l’articolo 26 del DPR 633/1972, al comma 2, recita “Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura… viene meno… per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali… rimaste infruttuose o a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del medesimo regio decreto n. 267 del 1942, pubblicato nel registro delle imprese…, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione… l’imposta corrispondente alla variazione.

La discussione verte sul significato da attribuire alla locuzione “procedure concorsuali rimaste infruttuose”.

Come spesso accade in situazioni analoghe a quella di cui si discute, l’interpretazione dell’Amministrazione Finanziaria è estremamente rigorosa, e quindi penalizzante per il contribuente.

Infatti, per costante orientamento (le prime risoluzioni e circolari esplicative risalgono a circa vent’anni fa), l’Amministrazione Finanziaria ritiene che il diritto al recupero dell’imposta non incassata dal cliente poi assoggettato a procedura concorsuale sorga:

  • in caso di fallimento senza riparto (cioè se non sono previsti pagamenti a favore dei creditori): alla scadenza del termine per proporre reclamo avverso il decreto di chiusura del fallimento, quindi decorsi 10 giorni dall’iscrizione del decreto nel registro delle imprese;
  • in caso di fallimento con riparto a favore dei creditori: alla data del decreto di esecutività del piano di riparto finale, cioè all’emissione del provvedimento che autorizza il pagamento dei creditori;
  • in caso di concordato preventivo: alla data del decreto di esecutività del piano di riparto finale, o, in mancanza, al momento dell’incasso delle somme derivanti dal riparto;
  • in caso di accordo di ristrutturazione dei debiti: alla data in cui il decreto di omologa diviene definitivo, cioè decorsi 15 giorni dall’iscrizione del decreto nel registro delle imprese;
  • in caso di piano attestato di risanamento: alla data di iscrizione del piano nel registro delle imprese.

Si ritiene che gli stessi criteri valgano pure nell’ambito delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento di cui alla Legge n. 3/2012, anche considerando che le stesse sono ora disciplinate nel Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza (che entrerà in vigore nel prossimo mese di agosto), e hanno assunto quindi a tutti gli effetti la qualifica di procedure concorsuali.

Il rigore dell’Amministrazione Finanziaria mal si armonizza con la normativa comunitaria, che, all’articolo 90 della Direttiva 2006/112/CE dispone “1. In caso di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento totale o parziale o riduzione di prezzo dopo il momento in cui si effettua l’operazione, la base imponibile è debitamente ridotta, alle condizioni stabilite dagli Stati membri. – 2. In caso di non pagamento totale o parziale, gli Stati membri possono derogare al paragrafo 1”.

In particolare, la Corte di Giustizia Europea ha anche recentemente rilevato che dal requisito della infruttuosità della procedura previsto dall’articolo 26 del DPR 633/1972, deriva un disallineamento con quanto indicato nella Direttiva, considerato che in Italia la durata media delle procedure concorsuali è di circa 10 anni; tanto che il procrastinare per un periodo di tempo così dilatato la possibilità di recuperare l’imposta non incassata, si traduce in un eccessivo aggravio per i contribuenti, da ritenersi non conforme ai principi ispiratori della normativa comunitaria.

Sulla base di tali raccomandazioni, da più parti si auspica l’adeguamento della normativa interna a quella comunitaria, nel senso di disporre che il recupero dell’imposta possa avvenire con notevole anticipo rispetto alle tempistiche attuali, cioè quando esista la ragionevole probabilità che l’incasso non avvenga, in tutto o in parte. Meglio se uniformando la disciplina IVA al Testo Unico delle Imposte sui Redditi, che prevede la deducibilità della perdita su crediti sin dalle fasi iniziali della procedura concorsuale.

Quantomeno, sarebbe auspicabile un’interpretazione più favorevole al contribuente nell’ambito del concordato preventivo, sia esso liquidatorio o in continuità; prevedendo cioè la possibilità di emettere la nota di variazione già con la definitività del decreto di omologa della procedura, in base alle previsioni di recupero per i creditori ivi indicate; e consentendo altresì l’ulteriore rettifica all’esito del riparto finale, considerato che mai le somme definitivamente incassate dai creditori risultano superiori alle previsioni di recupero.

In attesa dell’armonizzazione fra normativa comunitaria e legislazione interna, non resta che applicare le disposizioni attualmente vigenti; al verificarsi delle condizioni per il recupero dell’imposta non incassata, il contribuente dovrà quindi emettere la nota di variazione ai sensi del citato articolo 26, indicando nel documento la sola imposta per la quale ha maturato il diritto alla detrazione.

Con il documento allegato l’Agenzia delle Entrate ha illustrato la procedura di emissione della nota di variazione a seguito dell’introduzione dell’obbligo di fatturazione elettronica.

La detrazione dell’imposta indicata nella nota di variazione va esercitata, ai sensi dell’articolo 19 del DPR 633/1972, “al più tardi con la dichiarazione relativa all’anno in cui il diritto alla detrazione è sorto”. Ciò significa che in caso di procedura concorsuale rimasta infruttuosa nel corso dell’anno 2019, l’emissione della nota di variazione deve avvenire entro il termine di presentazione della relativa dichiarazione e la conseguente variazione va indicata al rigo VE 25 della dichiarazione IVA 2020 in corso di predisposizione.

E l’impresa assoggettata a procedura concorsuale, destinataria della nota di variazione, a quali adempimenti è tenuta?

In assenza di disposizioni normative specifiche, l’Amministrazione Finanziaria, sollecitata a fornire chiarimenti, ha precisato che l’impresa assoggettata a procedura concorsuale deve annotare nel registro IVA (ed esporre nella relativa dichiarazione annuale) le variazioni in aumento derivanti dalle note di variazione ricevute dai creditori; senza che ciò costituisca il presupposto per l’assolvimento dell’imposta, che diventerà esigibile soltanto nel caso in cui l’impresa, tornata in bonis, riprenda l’attività.

L’obbligo di assolvimento dell’imposta non si verifica neppure nel caso in cui l’impresa sia assoggettata ad una procedura concorsuale non liquidatoria (concordato con continuità aziendale o accordo di ristrutturazione dei debiti), perché, viceversa, verrebbero meno gli effetti estintivi dei debiti non soddisfatti, derivanti dall’omologa.

L’unica eccezione è rappresentata dal piano attestato di risanamento, che non rientra nel novero delle procedure concorsuali, pur essendo menzionato nella legge fallimentare; l’impresa proponente il piano, al ricevimento della nota di variazione, dovrà pertanto registrarla e procedere al versamento del tributo, anche senza attendere la conclusione del piano attestato.

Allegato

Faq Agenzia Entrate su fatturazione elettronica: LINK

Fac-simile Nota di accredito: LINK

 


Post scritto da:
Dott. Giuseppe Bernardelle

Dottore commercialista e revisore legale.

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