“Cram down” fiscale: mancanza di adesione o diniego espresso?
La Legge 176/2020 ha introdotto importanti modifiche alla disciplina del sovraindebitamento, fra le quali la facoltà concessa al tribunale di omologare l’accordo di composizione della crisi anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria, quando il voto sia decisivo per il raggiungimento delle maggioranze e quando la proposta di accordo sia conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria, anche sulla base delle risultanze della relazione dall’organismo di composizione della crisi (art. 12 – comma 3-quater – Legge n. 3/2012).
Analoga disposizione è stata introdotta in tema di concordato preventivo, con l’aggiunta dell’ultimo periodo del quarto comma dell’art. 180 L.F., che recita “Il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di voto da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie, quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze di cui all’articolo 177 e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui all’articolo 161, terzo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria”.
Pertanto, mentre nel sovraindebitamento la novella riguarda soltanto la posizione del creditore amministrazione finanziaria, nel concordato preventivo (e pure negli accordi di ristrutturazione dei debiti, per effetto delle modifiche introdotte all’art. 182-bis L.F.) le nuove regole valgono anche per gli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie (tipicamente, INPS e INAIL).
Le modifiche legislative assegnano quindi un ruolo sempre più centrale al tribunale, quantomeno nella fase decisiva dell’omologa delle procedure di composizione concordata della crisi, solo apparentemente in contraddizione con il principio di libera contrattazione fra le parti che caratterizza tali istituti.
Centralità della giurisdizione concorsuale confermata anche dalla recente sentenza n. 8504/2021 della Corte di Cassazione, che ha sancito la competenza del tribunale fallimentare, a discapito dei giudici tributari, in ordine ai ricorsi avverso il rigetto dell’Agenzia delle Entrate della proposta di transazione fiscale ex art. 182-ter L.F.
Tornando all’argomento oggetto del presente approfondimento, le novità introdotte nello scorso mese di dicembre hanno suscitato sin da subito un intenso dibattito dottrinale e visto il fiorire di differenti pronunce giurisprudenziali.
In particolare, la discussione verte sul significato da attribuire alla locuzione “in mancanza di adesione (di voto)”: se cioè l’organo giudicante possa omologare la procedura in ogni caso, ovvero solo nel caso in cui i creditori “qualificati”, individuati dalla norma, restino inerti.
Secondo la tesi “rigorista”, ci si deve attenere al tenore letterale: pertanto, il cosiddetto “cram down” è consentito solo in caso di inerzia dell’amministrazione finanziaria e degli enti; perché, viceversa, l’omologa della procedura, quando risulti comunque conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria, sarebbe lesiva dei diritti portati dai creditori qualificati, che subirebbero un ingiustificato trattamento penalizzante rispetto a tutti gli altri (c’è chi arriva addirittura a sollevare la questione di legittimità costituzionale a riguardo).
All’opposto, i fautori della riforma sostengono che le modifiche recentemente introdotte hanno la finalità di favorire quanto più la composizione concordata delle crisi, contrastando le “ingiustificate resistenze alle soluzioni concordate spesso registrate nella prassi da parte degli enti impositori” (come si legge nella relazione illustrativa al codice della crisi di impresa e dell’insolvenza), messe in atto a discapito degli interessi del debitore (e, molto spesso, anche di quelli degli altri creditori); l’obiettivo dev’essere quindi la liberazione della persona fisica dal fardello dei debiti (il ritorno “in bonis” per le imprese) e il recupero di un suo ruolo attivo nel sistema economico; pertanto, ove sia dimostrata la convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria, il diniego espresso o la semplice astensione dei creditori qualificati sarebbero irrilevanti, potendo in ogni caso il tribunale procedere all’omologa.
La giurisprudenza si è confrontata sin da subito con le novità legislative; le principali pronunce intervenute nei primi mesi della loro applicazione sono le seguenti:
- Tribunale di La Spezia 14/01/2021: omologa di un accordo di composizione nel quale le operazioni di voto si erano concluse prima dell’entrata in vigore della novella e nel quale l’organismo di composizione della crisi aveva già depositato istanza per la revoca della procedura, stante il determinante dissenso espresso dall’Agenzia delle Entrate; il giudice evidenzia come in tutti i casi in cui il dissenso dell’amministrazione finanziaria sia decisivo e sia contestualmente dimostrato che la proposta del debitore consente una maggior soddisfazione rispetto all’alternativa liquidatoria, l’omologa debba avvenire “ipso iure”, perché questo è l’intento del legislatore, costituendo la novità introdotta nel testo normativo applicazione del principio di buon andamento e di efficienza della pubblica amministrazione previsto dall’art. 97 della Costituzione;
- Tribunale di Bari 18/01/2021: revoca dell’ammissione al concordato preventivo per effetto del voto negativo espresso dall’amministrazione finanziaria, determinante per il mancato raggiungimento delle maggioranze di legge; i giudici pugliesi ritengono che valga il tenore letterale della norma: cioè che il “cram down” sia possibile solo in caso di mancata espressione del voto; perché, viceversa, si creerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento fra l’amministrazione finanziaria e tutti gli altri creditori (con la volontà della prima soltanto che sarebbe sottoposta al vaglio dei giudici);
- Tribunale di Rovigo 12/02/2021: rinnovazione delle operazioni di voto nell’ambito di un concordato preventivo nel quale non erano state raggiunte le maggioranze per effetto del determinante silenzio-dissenso dell’Agenzia delle Entrate; non essendo ancora intervenuta la revoca dell’ammissione, i giudici hanno disposto la ripetizione delle operazioni di voto, previa integrazione della relazione di attestazione, al fine di verificare se ricorrevano le condizioni previste dalla novella legislativa, cioè se la proposta di concordato era preferibile all’alternativa liquidatoria; questo principio potrebbe pertanto essere applicato a tutte le procedure pendenti al momento dell’introduzione delle modifiche legislative, cioè a quelle in cui non si sia ancora svolta l’udienza per l’omologa;
- Tribunale di Pisa 19/02/2021: omologa di un concordato preventivo nel quale non era stata raggiunta la maggioranza per l’approvazione della proposta per effetto della determinante astensione dell’Agenzia delle Entrate; i giudici ritengono pienamente applicabile la novella, stante l’attestazione relativa al miglior trattamento previsto dalla proposta concordataria rispetto all’alternativa liquidatoria e considerato che il contraddittorio fra le parti si è svolto correttamente a seguito della notifica del decreto di fissazione dell’udienza per l’omologa anche ai creditori dissenzienti (fra i quali l’Agenzia);
- Tribunale di Forlì 15/03/2021: omologa di un accordo di composizione nel quale Agenzia delle Entrate e Agenzia delle Entrate Riscossione avevano espresso voto negativo; i giudici evidenziano come nella disciplina del sovraindebitamento valga il principio del silenzio-assenso (se un creditore non vota la proposta di accordo, si intende che l’abbia tacitamente approvata: art. 11 – primo comma [ultimo periodo] – Legge n. 3/2012); pertanto la locuzione “in mancanza del voto favorevole” recentemente introdotta si riferisce giocoforza all’esplicita manifestazione di dissenso; giacché la semplice inerzia si tradurrebbe in una tacita approvazione.
Quasi tutte le decisioni in commento sottolineano come il “cram down” consenta non solo di porre rimedio alla situazione di crisi del debitore, ma anche di tutelare l’interesse erariale (che il voto negativo, molto spesso affrettato, dell’amministrazione finanziaria rischia di compromettere), quando sia dimostrato che la proposta di soluzione concordata della crisi è tale da garantire una maggiore soddisfazione rispetto all’alternativa liquidatoria.
La circolare n. 34/E/2020 dell’Agenzia delle Entrate va proprio in questa direzione; detta infatti i criteri che gli uffici periferici debbono seguire nella valutazione delle proposte di trattamento del credito tributario nelle procedure di soluzione concordata della crisi, invitandoli a proporre la “contestazione del piano attestato solo se basata su circostanze idonee a dimostrarne la manifesta infondatezza”; è pertanto probabile che l’espressione di voto dell’amministrazione finanziaria sia d’ora in avanti più meditata e basata sulla realtà oggettiva dei fatti, così da tutelare effettivamente l’interesse erariale.
Se queste sono le pronunce giurisprudenziali finora intervenute e le linee guida dell’Agenzia delle Entrate, la dottrina sembra invece quasi unanimemente orientata a non distinguere fra mancanza di voto e voto negativo espresso dai creditori qualificati.
Si sottolinea comunque da più parti la necessità di disciplinare più puntualmente la fattispecie, prevedendo che il potere di omologa “forzata” del tribunale sia contemperato dall’assicurazione del diritto di intervento dei creditori qualificati; sarebbe cioè auspicabile un percorso simile a quello che caratterizza il giudizio di omologa del concordato preventivo, nel quale i creditori dissenzienti possono esporre il loro punto di vista nel corso dell’istruttoria; alla quale fa seguito la decisione definitiva dei giudici; ciò al fine di assicurare sempre e comunque parità di trattamento fra gli interessi di tutte le parti in causa, in ogni fase del procedimento.
Anche al fine di evitare incertezze o applicazioni difformi da parte dei tribunali delle novità legislative, senz’altro condivisibili e molto opportune, introdotte alla fine dello scorso anno.
Concretamente, il legislatore potrebbe fugare i dubbi che ancora rimangono mettendo mano all’art. 48 del codice della crisi e dell’insolvenza; di modo che quand’esso entrerà in vigore (1° settembre 2021, in attesa di conferma), sia chiaramente statuito lo svolgimento del giudizio di omologa, anche nei casi in cui il dissenso esplicito o tacito dei creditori qualificati sia determinante per il buon esito della procedura di composizione concordata della crisi. Auspicando altresì che l’individuazione dei creditori qualificati sia identica, indipendentemente dalla tipologia di procedura.
Potrebbe essere questo uno dei temi sui quali si concentrerà il lavoro della commissione tecnico-consultiva nominata nei giorni scorsi dal ministero della giustizia, con l’obiettivo di formulare proposte di interventi sul testo normativo in vista della sua ormai imminente adozione: si tratta di attendere poche settimane, visto che la ministra Cartabia ha fissato la scadenza dei lavori al 10 giugno.
Post scritto da:
Dott. Giuseppe Bernardelle
Dottore commercialista e revisore legale