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Restituzione finanziamento soci a rischio

A pochi mesi da quando la Corte di Cassazione ha posto fine alla questione del termine di accertamento relativo ai componenti di reddito a efficacia pluriennale, si cominciano a riscontrare le prime conseguenze di tale orientamento.

Ricordiamo che con la sentenza del 25 marzo 2021 n.8500, le Sezioni Unite, facendo leva sul concetto di autonomia del singolo periodo di imposta, hanno espresso il principio secondo cui l’accertamento ha ad oggetto il reddito ogni singola annualità, anche se l’elemento oggetto di verifica trova le sue origini in periodi di imposta precedenti, per i quali i termini di decadenza siano già intervenuti.

Se già questo orientamento lasciava perplessi poiché suscettibile di estendere la potestà accertativa dell’autorità fiscale sino a data da destinarsi, la declinazione che ne viene data nella recente Sentenza della Cassazione, Sez.Trib. n. 18370 del 30 giugno 2021 è ancor più preoccupante.

Oggetto di contestazione è la restituzione di un finanziamento soci da parte di una società al proprio socio di maggioranza. Posto che, negli anni in cui il finanziamento è stato erogato, il socio manifestava una situazione reddituale non compatibile con l’erogazione di un finanziamento soci così consistente, l’Agenzia delle Entrate ha presunto che le risorse di tale finanziamento non fossero proprie del socio, ma che derivassero in realtà da ricavi aziendali non contabilizzati, percepiti illegittimamente dal socio e poi riversati in società sotto forma di finanziamento. Da ciò deriva che la restituzione del finanziamento soci veniva prima ripresa a tassazione come reddito in capo alla società e poi riqualificata come distribuzione di dividendi, conseguentemente tassati, in capo al socio.

La principale contestazione dei contribuenti riguardava il fatto che i finanziamenti soci erano stati effettuati in annualità per le quali i termini di accertamento erano già spirati; seguendo il ragionamento dei verificatori infatti gli esercizi oggetto di accertamento non sarebbero quelli in cui si è verificata la restituzione del finanziamento, bensì quelli in cui si sarebbe incrementato il conto finanziamento/soci con formazione della relativa provvista, con conseguente violazione del principio di competenza.

La Cassazione rigetta la tesi dei contribuenti osservando che l’accertamento impugnato ha ad oggetto i prelievi operati dal socio dal conto di finanziamento e non la formazione della provvista avvenuta precedentemente, pertanto nessuna violazione del principio di competenza si è verificata.

Relativamente all’obiezione posta dai contribuenti sul fatto che l’accertamento sarebbe esteso non solo al momento della restituzione del finanziamento, ma anche al fatto genetico della creazione della provvista, in relazione a periodi di imposta per i quali l’accertamento sarebbe stato precluso per decorrenza dei termini, la Cassazione richiama la recente sentenza delle Sezioni Unite n. 8500. Osserva infatti la Corte che “la decadenza dalla potestà di accertamento va riguardata, … ove abbia ad oggetto componenti reddituali pluriennali, in relazione al termine per rettificare la dichiarazione nella quale il singolo fatto economico incriminato è indicato, e non già in relazione al termine per la rettifica della dichiarazione concernente il periodo di imposta nel quale il fatto generatore sia maturato o iscritto per la prima volta in bilancio.”

Le Sezioni Unite sono giunte alla soluzione per cui “l’Erario non ha l’obbligo di contestare l’elemento economico o patrimoniale pluriennale sin dal suo momento genetico, potendo limitarsi all’accertamento del solo periodo di imposta in cui il fattore a fecondità ripetuta giunga ad avere manifestazione reddituale, osservando in proposito che tale conclusione è conforme al postulato della autonomia di ciascun periodo di imposta, secondo cui il risultato di ciascun periodo costituisce l’oggetto di un’obbligazione tributaria autonoma“.

Nel caso di specie, oggetto di accertamento è la restituzione del finanziamento soci nell’annualità verificata, mentre l’analisi di come la provvista si sia generata nei periodi di imposta precedenti degrada a mero presupposto dell’accertamento della insussistenza della posta passiva, poi riportata in bilancio nei vari esercizi sino alla restituzione.

Secondo la Cassazione “deve, pertanto, affermarsi il principio secondo cui, in caso di restituzione di finanziamenti soci per i quali l’amministrazione finanziaria ritenga, sulla base di un coacervo indiziario, che gli stessi costituiscano una posta fittizia dello stato patrimoniale, riportata di anno in anno nei bilanci, così mascherando – all’atto della restituzione del finanziamento – la distribuzione di utili derivanti da ricavi extracontabili, l’amministrazione finanziaria non è tenuta a rettificare anche la dichiarazione relativa al momento genetico in cui è stata contabilizzata la posta passiva relativa alla accensione del finanziamento, acquisendo la restituzione del fittizio finanziamento rilevanza reddituale al momento della distribuzione ai soci.

Inutile dire che, nei molti casi in cui i finanziamenti soci si formano in anni diversi, anche stratificandosi, e rimangono iscritti in bilancio per anni, la lettura data dalla Suprema Corte può costituire un problema, costringendo i soci a giustificare la fonte dei propri versamenti nelle casse sociali anche a molti anni di distanza.

Viene anche da chiedersi cosa succederebbe nel caso in cui, in un contesto di un’operazione straordinaria, il finanziamento soci fosse oggetto di cessione; a chi verrebbe contestata la riqualificazione in dividendo della restituzione del finanziamento? Al socio che l’aveva effettuato e che non aveva redditi adeguati, che però ora non ha percepito l’ipotetico dividendo? O al socio attuale, che ha incassato il “dividendo” ma che ha acquistato il credito legittimamente ed è in grado di provare l’origine reddituale della fonte del proprio acquisto?

Ancora una volta, ci si trova di fronte a una chiave di lettura che compromette il principio formalmente condiviso di certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente. L’estensione del potere di verifica dell’Amministrazione Finanziaria per un numero di anni anche molto lungo di fatto può annullare il beneficio dell’istituto della decadenza, che costituisce una forma di garanzia del contribuente contro un’azione accertativa senza limiti temporali.

Nuovamente, al contribuente non resta che archiviare una mole di documentazione probatoria molto consistente, nella speranza di una revisione dell’orientamento giurisprudenziale che si sta purtroppo affermando.

 


Post scritto da:
Dott.ssa Marta Mattiello

Dottore commercialista e revisore legale

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