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Spesso si tende a pensare che il tema della Corporate Governance (“CG”) interessi unicamente aziende di grandi dimensioni, magari quotate in mercati regolamentati o aventi una struttura partecipativa complessa che necessita per questo di specifiche regole di condotta.

Fuori da questi specifici casi il tema della Corporate Governance viene in evidenza nei momenti di discontinuità aziendale, quando ad esempio vi è l’ingresso di un nuovo socio nella compagine sociale o quando si deve affrontare il delicato tema del passaggio generazionale.

Con riferimento a questo ultimo tema, l’impressione è che troppo spesso si tenda a pensare al passaggio generazionale come ad una questione di assetti proprietari (in tal senso sono ad esempio orientati tutti i contributi dottrinali e la convegnistica in tema di patto di famiglia). Tuttavia approcciare al passaggio generazionale solo da una prospettiva “proprietaria” è senza dubbio miope in quanto un qualsiasi riassetto proprietario non può prescindere dalla ridefinizione delle regole di governo dell’impresa ed in particolare da quelle regole che mirano a garantire la sua economicità, continuità e sviluppo in un orizzonte di lungo periodo. Questa è la prospettiva e l’ambito operativo della Corporate Governance.

La dottrina aziendalistica moderna è unanime nel ritenere che il tema dalla CG assuma “cruciale importanza in tutte le imprese di qualsiasi dimensione e forma giuridica, con l’unica eccezione delle microimprese imprenditoriali” (A.Zattoni, Corporate Governance, EGEA, Milano 2015).

In particolare l’implementazione di un moderno ed efficacie modello di governance consente di ottenere rilevanti benefici quali:

  1. Aiutare le famiglie imprenditoriali a far crescere le imprese controllate in un orizzonte di lungo periodo;
  2. Tracciare in maniera più chiara la distinzione tra famiglia e impresa;
  3. Certificare verso l’esterno (banche, clienti, fornitori …) la qualità gestionale dell’impresa diminuendo i costi legati all’incertezza;
  4. Attrarre, orientare e controllare il management non familiare favorendo l’acquisizione di competenze;
  5. Acclimatare l’impresa con i processi richiesti dai mercati e dai fondi di private equity in un’ottica di crescita.

Al fine di orientare le imprese familiari non quotate verso un percorso di best practice in tema di corporate governance è in corso da alcuni anni a livello internazionale un ampio dibattito. Già nel 2006 l’OCSE ha pubblicato uno studio sul governo delle società non quotate (OECD, “Corporate Governance of Un-Listed Companies in Emerging Markets”, 2006) dal quale possiamo trarre alcune preliminari indicazioni sugli aspetti maggiormente rilevanti quali:

  1. L’importanza della professionalità (ancor prima che l’indipendenza) dei singoli membri del consiglio di amministrazione;
  2. L’importanza della definizione di piani e programmi per la successione degli esecutivi;
  3. L’importanza della trasparenza informativa per gli stakeholders;
  4. L’importanza di un’adeguata e trasparente gestione dei conflitti di interesse.

L’indicazione che emerge dallo studio OCSE e dai successivi contributi in materia, con riferimento all’introduzione di una disciplina regolamentare in materia di governance delle società non quotate, è quello della applicazione delle best practice adottate dalle imprese quotate ma opportunamente rivisti e semplificati per renderli adatti ad imprese di minori dimensioni, preferendo un approccio di autoregolamentazione su base volontaria piuttosto che affidare la tematica a specifici provvedimenti normativi.

Nel solco del dibattito in corso a livello internazionale da più parti si sta quindi cercando di definire un framework di principi di Corporate Governance applicabili alle imprese familiari sulla base di un criterio di proporzionalità adeguato rispetto alle dimensioni aziendali.

Su questa linea sono stati elaborati i due principali documenti ad oggi disponibili nel nostro paese:

In particolare tale secondo documento seguendo quanto suggerito a livello di dottrina si ispira apertamente al vigente Codice di Autodisciplina delle società quotate opportunamente riadattato al fine di rendere le disposizioni in esso contenute adatte per società di minori dimensioni.

In particolare si possono tracciare un set di principi e regole applicabili da tutte le imprese di dimensioni non minime:

  1. Il ruolo dell’assemblea dei soci ed in particolare del Presidente per garantire la piena informativa di tutti i soci – familiari e non familiari – specialmente se non coinvolti nella gestione;
  2. La preferenza – superata la fase di start up – per un organo amministrativo pluripersonale in particolare per un Consiglio di Amministrazione composto da un minimo di 3 a un massimo di 9 membri a seconda delle esigenze;
  3. La definizione di alcuni temi di competenza del CdA tra i quali: la definizione di una strategia di medio-lungo termine; la valutazione dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della Società; la deliberazione in merito alle operazioni della Società, quando esse rilevino in modo significativo a livello strategico, patrimoniale o finanziario; la preparazione ed organizzazione del processo di successione di figure chiave del management;
  4. La necessità di una cadenza regolare (almeno trimestrale) delle riunioni del CdA;
  5. La separazione, a meno di motivate ragioni, tra la figura del Presidente e la figura dell’Amministratore Delegato;
  6. La nomina di un segretario del CdA;
  7. La presenza in CdA di almeno un consigliere non familiare, meglio se indipendente;
  8. Il rispetto di una adeguata diversity in termini di background professionale, età e genere;
  9. l’adozione di procedure per trattare le operazioni con parti correlate, in primis quelle che riguardano i familiari;
  10. La periodica revisione dello Statuto della Società per adeguarlo agli strumenti giuridici a disposizione (clausole di prelazione, adozione di diverse categorie di azioni, …);
  11. La scelta dei Sindaci anche in base a criteri di indipendenza e l’attuazione di una periodica rotazione degli stessi (ad esempio, ogni 9 anni);
  12. La separazione nell’ambito dell’organo di controllo della funzione di controllo contabile;
  13. L’adozione di una politica per la successione nelle posizioni di vertice.

Con riferimento alle imprese familiari non quotate di più grande dimensione, il Codice suggerisce, in aggiunta ai temi sopra elencati, che il CdA:

  1. esamini e approvi i piani strategici, confrontando i risultati conseguiti con quelli programmati;
  2. effettui, con cadenza almeno triennale, una autovalutazione sul funzionamento del CdA stesso;
  3. adotti una procedura per la gestione interna e per la comunicazione esterna di documenti e informazioni;
  4. articoli il sistema delle remunerazioni dell’Amministratore Delegato e dei top manager in una parte fissa e in una parte variabile;
  5. adotti e faccia proprie alcune best practices quali sessioni di formazione per i consiglieri (induction sessions) e incontri dedicati alla strategia (outdoor strategici);
  6. organizzi dei Comitati nell’ambito del CdA (per Nomine, Remunerazione, Controllo e Rischi) con la presenza di almeno un consigliere indipendente;
  7. consideri candidature sia familiari che non familiari per le posizioni di Amministratore Delegato e top manager;
  8. adotti di una funzione di internal audit e un modello di organizzazione ex D.Lgs 231/2001.

L’osservanza di tali principi rimane ovviamente una libera scelta da parte dell’impresa non essendovi ad oggi e non essendo probabilmente auspicabile, alcun obbligo normativo in materia, tuttavia la migliore pratica suggerisce un’adesione alle regole sopra menzionate in base al c.d. principio comply or explain in base al quale qualora l’impresa si discosti dal suddetto codice di governo societario o non ne applichi qualche previsione, dovrà rendere noto (ad esempio in relazione sulla gestione) quali parti ha disapplicato e perché.

 

Dott. Marco Snichelotto

Post scritto da:
Sistemassociati


 

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