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Con la sentenza n. 2054 del 27 gennaio 2017 la Cassazione torna ad affrontare il tema della presunta elusione dell’operazione di conferimento di ramo d’azienda seguito dalla cessione della partecipazione.

L’operazione non presenta criticità dal punto di vista della fiscalità diretta, stante la previsione di cui all’art. 176 comma 3 del TUIR che esplicitamente esclude dall’applicazione dell’art. 37-bis del DPR 600/73 (ora abrogato) il “conferimento dell’azienda secondo i regimi di continuità dei valori fiscali riconosciuti o di  imposizione sostitutiva di cui al presente articolo e la successiva cessione della partecipazione ricevuta per usufruire dell’esenzione di cui all’articolo 87, o di quella di cui agli articoli 58 e 68, comma 3”.

La questione si pone piuttosto dal lato dell’imposizione indiretta, con particolare riferimento all’applicazione dell’imposta di registro.

Diversa giurisprudenza infatti si è spesa sulla corretta interpretazione dell’art. 20 del DPR 131/86 e sulla sua presunta natura di norma antielusiva. In base a tale articolo l’imposta di registro va applicata “secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.

Ebbene, riqualificare un’operazione di conferimento di azienda con successiva cessione di partecipazione in un’operazione unica di cessione d’azienda determina una pretesa erariale spesso importante, stante che il conferimento di azienda e la cessione di quote scontato l’imposta di registro in misura fissa, mentre la cessione di azienda sconta l’imposta proporzionale.

Sul punto la Cassazione si era recentemente pronunciata a favore dell’elusività con la sentenza n. 8542 del 03.03.2016. L’operazione riguardava il conferimento in una società di nuova costituzione di due negozi del Gruppo Pharmarcia Italia a cui è seguita la cessione a terzi della quota di partecipazione.

In tale sede la Cassazione aveva ricordato che “l’art. 20 del D.p.r. 131/1986 attribuisce preminente rilievo all’intrinseca natura ed agli effetti giuridici dell’atto, rispetto al suo titolo ed alla sua forma apparente, sicché l’Amministrazione finanziaria può riqualificare come cessione di azienda la cessione totalitaria delle quote di una società, senza essere tenuta a provare l’intento elusivo delle parti, attesa l’identità della funzione economica dei due contratti, consistente nel trasferimento del potere di godimento e disposizione dell’azienda da un gruppo di soggetti ad un altro gruppo o individuo”.

Ebbene con la recente sentenza 2054  del 27 gennaio 2017 la Cassazione cambia il suo orientamento.

Il caso trattato riguarda il conferimento di due distinti rami d’azienda a favore di due diverse società beneficiarie. Successivamente la società conferente cede entrambe le quote di partecipazione ricevute con i due conferimenti a due diverse società terze. L’Agenzia delle Entrate anche in questo caso riqualifica i due atti come cessioni di rami d’azienda facendo applicazione dell’art. 20 del DPR 131/86.

In questo caso la Cassazione respinge le motivazioni dell’Agenzia delle Entrate. In particolare la Corte di Cassazione non ritiene ravvisabile nell’operazione esaminata un rischio di abuso del diritto. Dal punto di vista formale la Cassazione ritiene che l’art. 20 del DPR 131/86 non sia una norma antielusiva applicabile nell’ambito dell’imposta di registro (quanto piuttosto una norma relativa alla semplice interpretazione degli atti), ma soprattutto dal punto di vista sostanziale non rileva alcuna elusione nell’operazione esaminata, che appare piuttosto come “un’ipotesi di legittima scelta di un tipo negoziale invece di un altro”. Pertanto, prosegue la Suprema Corte, se è indubitabile che l’Amministrazione finanziaria non è certamente tenuta ad accogliere acriticamente la qualificazione prospettata dalle parti ovvero ad accettare quella “forma apparente” al quale lo stesso art. 20 fa riferimento, è indubbio che in tale attività riqualificatoria essa non può travalicare lo schema negoziale tipico nel quale l’atto risulta inquadrabile, pena l’artificiosa costruzione di una fattispecie imponibile diversa da quella voluta e comportante differenti effetti giuridici. Infine, se da un punto di vista economico si può ipotizzare che la situazione di chi cede l’azienda sia la medesima di chi cede l’intera partecipazione, posto che in entrambi i casi si “monetizza” il complesso di beni aziendali, si deve riconoscere che dal punto di vista giuridico le situazioni sono assolutamente diverse.

 In conclusione la citata sentenza 2054 ci lascia due importanti chiavi interpretative:

  • L’art. 20 del DPR 131/86 non può essere considerato una norma antielusiva applicabile nell’ambito dell’imposta di registro;
  • Un’operazione di conferimento di ramo d’azienda, seguita dalla cessione delle quote può configurare un’ipotesi di “legittima scelta di un tipo negoziale invece che di un altro” e non può, pertanto, essere riqualificata come cessione di azienda.

 

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Post scritto da:
dott. Alessandro Pegoraro
Dottore commercialista e revisore legale.

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